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#vocidalcampo SOGNI INFRANTI: LA PARABOLA DISCENDENTE DELL’ECUADOR TRA ARMI, COCAINA E POTERE.


“A nivel de América Latina estamos en el segundo puesto en seguridad, solo superados por Chile y con todo respeto para Chile creo que nosotros tenemos mejores estadísticas.”

“A livello di America Latina siamo al secondo posto in sicurezza, solo superati dal Cile e con tutto il rispetto per il Cile credo che siamo noi ad avere dati migliori.”

Rafael Correa, Presidente dell’Ecuador, 25 giugno 2016.



 

Vivo in Ecuador da più di 6 anni ormai, da quel lontano 29 giugno 2017 in cui per la prima volta ci misi piede come volontario dei Corpi Civili di Pace. L’Ecuador un piccolo stato che si poteva considerare a ragione un’isola di pace nel caotico panorama sudamericano, stretto tra due vicini invece piuttosto turbolenti e famosi a livello mondiale per i loro livelli di violenza: il Perù, che usciva a fatica da vent’anni di terrorismo e conflitto interno, soprattutto per le azioni dell’organizzazione “Sendero Luminoso” e la Colombia, con una storia recente di violenza e di conflitti interni ancora più lunga e travagliata e che proprio in quegli anni (2016-17), vedeva finalmente scendere l’intensità del livello di conflitto con la deposizione delle armi delle FARC, il gruppo di guerriglia più grande del paese, anche se la situazione è a tutt’oggi ancora lontana dalla completa pacificazione.


Un paese che si stava aprendo sempre di più al turismo, grazie appunto alla sua tranquillità e alle incredibili meraviglie naturali e la variabilità dei suoi ambienti concentrati in un paese più piccolo dell’Italia, dalle spiagge della costa, i vulcani e le vette della “sierra”, le immense selve dell’”oriente”, all’incredibile fauna delle Galápagos e tutto il grande patrimonio delle differenti culture indigene.


4 gennaio 2024: ritorno in Ecuador dopo un mese abbondante passato in Italia. Un mese passato a ricaricare le pile, godendo del calore familiare e del buon cibo.

Tornavo in un Ecuador molto diverso da quello della prima volta. Tornavo in quello che era diventato il paese più violento del Sudamerica, dati alla mano. Com’è stato possibile che in soli sei anni la situazione della sicurezza nel paese sia precipitata in questo modo?


Quest’articolo non sarà un’analisi geopolitica delle complesse cause di questa situazione e quindi non risponderò esattamente a questa domanda. Ci sono varie pubblicazioni e video che spiegano in maniera piuttosto accurata origini e cause di questa situazione, alcuni anche in italiano ma ovviamente la maggior parte in spagnolo. Questa rubrica “Voci dal campo” vuole raccontare appunto le impressioni in prima persona e le conseguenze dirette e indirette sulle comunità locali di questa situazione di caos e violenza che ha investito il paese soprattutto nelle ultime settimane.

Sì perché appena quattro giorni dopo il mio arrivo in Ecuador la situazione di insicurezza e instabilità è precipitata ulteriormente assumendo toni eclatanti che hanno fatto avere, proprio malgrado, enorme visibilità all’Ecuador nei media mondiali.


Il fattore scatenante: la fuga dal carcere tra il 7 e l’8 gennaio dei boss delle due principali organizzazioni che gestiscono il narcotraffico nel paese: appare evidente che sono stati lasciati scappare. Il neoeletto presidente Daniel Noboa decide che è troppo: dichiara 60 giorni di stato di emergenza, che conferisce poteri speciali a esercito e polizia di usare qualsiasi mezzo contro chi ritiene essere un criminale, oltre a intensificare i controlli in porti e strade del paese e a instaurare un vero e proprio coprifuoco con divieto di circolazione dalle 23 alle 5.


Il giorno dopo le organizzazioni criminali, che hanno letteralmente in mano larga parte del paese e delle istituzioni, decidono di dimostrare la loro forza gettando l’Ecuador nel caos, seminando la paura tra la gente con lo scoppio di diverse bombe in luoghi pubblici ed eseguendo azioni anche eclatanti come l’assalto armato a un canale televisivo, a ospedali e università. Cose mai viste finora. La maggior parte di questi atti violenti ha interessato la città di Guayaquil e le provincie della Costa, in misura minore la capitale Quito. La regione amazzonica, dove io vivo, è stata toccata molto marginalmente da questa ondata di caos e violenza, anche se il clima di incertezza e paura domina tutto il paese.


La domanda che tutti si pongono in questi giorni è come si evolverà questa situazione e soprattutto se e quando il paese riuscirà a tornare ai livelli di sicurezza e tranquillità di 5-6 anni fa. Tutto fa presagire che sarà difficile. Queste misure emergenziali e il relativo caos generato, richiamando l’attenzione mondiale, hanno fatto prendere coscienza a tutti gli ecuadoriani che non si poteva più andare avanti a dire che andava tutto bene, che “no pasa nada”, che finché il problema era solo a Guayaquil e nella Costa e i delinquenti si ammazzavano tra di loro non era una gran preoccupazione per il resto della società.


Nessuno sembrava rendersi conto in questi ultimi anni che tagliando incredibilmente il bilancio pubblico in salute ed educazione, con una disuguaglianza economica in vertiginosa crescita, i giovani delle provincie più disagiate del paese non avevano altre vie d’uscita che non fossero l’emigrazione o il lavorare per le mafie, che sono a poco a poco entrate a tutti i livelli nello stato ecuadoriano acquisendo un potere immenso.


Del resto la cocaina è un mercato in continua crescita: i paesi occidentali “pippano” più che mai ed è una legge di mercato che se aumenta la domanda aumentano i prezzi e di conseguenza la reddittività. L’Ecuador, pur non essendo un paese produttore di foglie di coca né sede di raffinerie di cocaina, per la sua posizione, stretta tra Colombia e Perù, e facilitato dalla sua moneta stabile visto che utilizza il Dollaro degli Stati Uniti, è entrato in questo mercato trasformandosi in pochi anni nell’hub mondiale della logistica di questa sostanza, che dai porti di Manta e Guayaquil viene esportata letteralmente in tutto il mondo, assieme a banane e cacao.


Neppure la tranquilla Amazzonia ecuadoriana è completamente fuori da queste dinamiche: la frontiera tra Ecuador e Colombia è in larga parte lungo la foresta, in territori remoti e molto difficili da monitorare. Ed è proprio sfruttando la “porosità” di questa frontiera che avviene un intenso scambio, cocaina che entra in Ecuador e derivati del petrolio, necessari per la raffinazione, che entrano in Colombia. Ma non solo, un’importante fonte di reddito alternativa per le “narcomafie” è l’estrazione illegale di oro che avviene proprio nei fiumi amazzonici, specialmente nella provincia del Napo.


In un periodo complicato come questo, per certi versi simile a quello vissuto durante la pandemia di Covid, con molte attività chiuse, turismo internazionale azzerato e strade quasi deserte dopo il tramonto, chi pagherà le conseguenze soprattutto economiche di questa situazione saranno come sempre le comunità locali, anche quelle indigene amazzoniche.


Nelle comunità Kichwa la vita trascorre apparentemente tranquilla come sempre e le persone sono più impegnate ad affrontare le difficoltà concrete dell’oggi piuttosto che pensare al futuro del paese, da sempre percepito come un qualcosa di distante. Nonostante questo però, le attività di cooperazione, quelle che anche Nina APS intende portare avanti a sostegno delle popolazioni indigene, sono più importanti che mai; soprattutto per aiutare a dare ai giovani delle comunità valori e opportunità, senza che siano costretti a migrare all’estero o verso le grandi città, con il rischio di venire essi stessi reclutati dalle organizzazioni criminali.


Ammirando la maestosità della selva all’ora dell’alba, quando infiniti canti d’uccelli sembrano svegliarla e animarla, mi accorgo che per fortuna qualcosa è rimasto immutato in questi anni. Questo mi trasmette un grande senso di pace, proprio quella di cui ha bisogno l’Ecuador adesso. Guardando da qui, tutti questi avvenimenti sembrano piccoli e lontani, quasi insignificanti, formiche che si contendono un pezzetto di foglia. Guardando da qui, il sole sta sorgendo e un nuovo giorno sta per iniziare. La speranza non si è ancora infranta.



Giacomo Rubini per NINA

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