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La lotta dei popoli indigeni ecuadoriani contro l’estrazione di petrolio nella foresta amazzonica


La foresta amazzonica oltre ad essere il polmone verde della terra è la foresta pluviale più estesa del mondo caratterizzata da un ecosistema peculiare. La sua preservazione non è essenziale unicamente per tutelare le specie e le popolazioni indigene che la abitano, ma anche per mantenere il giusto livello di ossigeno nell’atmosfera.


Tra le varie insidie che la foresta amazzonica deve affrontare troviamo l’estrazione del petrolio e di minerali dal sottosuolo. A questo riguardo la popolazione indigena sta lottando per la soppressione di queste attività e per la responsabilizzazione delle società che se ne occupano. Una delle società ad avere la concessione petrolifera è la AGIP Oil Ecuador (filiale dell’italiana ENI). I popoli indigeni dell’Ecuador sono politicamente attivi per la difesa della foresta e dei diritti umani di cui sono titolari in quanto risiedenti in quello specifico territorio, che è divenuto oggetto di concessione statale per l’estrazione dell’oro nero.

L’estrazione di petrolio non vincolata è causa di: contaminazione tossica, incendi violenti, perdita di terreno e biodiversità, cambiamento climatico e ora, accelerazione della diffusione del COVID-19.

Quello a cui mirano le comunità indigene non è la repressione delle concessioni governative, alquanto improbabili visto il valore economico del petrolio, ma la sua limitazione attraverso campagne di attivismo.

Le comunità indigene si sono sempre organizzate in politiche attiviste a difesa del proprio territorio. Negli ultimi due anni, però, la lotta si è svolta anche all’interno del mondo giuridico. Varie sono state le cause intentate contro il governo per aver promosso la vendita della superficie di foresta in cui abitano e che chiamano casa a scopi di estrazione mineraria e petrolifera. Due sono i casi giudiziari simbolo.


Il primo del 2018 quando, gli indigeni Cofán di Sinangoe hanno scoperto l’esistenza di varie macchine addette all’estrazione dell’alveo del fiume Aguarico. Tali progetti minerari, tuttavia, non erano mai stati oggetto di consultazione formale con la popolazione. La comunità ha così deciso di muovere una causa per la violazione dei diritti costituzionali alla consultazione preventiva e ad un ambiente sano. Il tribunale provinciale ha ordinato l’annullamento delle concessioni già esistenti e di quelle in fase di concessione (per un valore di 324 km quadrati) e ha prescritto anche la riparazione e/o bonifica delle aree pregiudicate dalla suddetta attività mineraria. La sentenza ribadisce che la consultazione preliminare integra una condizione necessaria per la realizzazione di una qualsiasi concessione di terreno ad industrie minerarie, e la sua differenza rispetto alla semplice notifica di avvenuta concessione, la quale non salvaguarda sufficientemente i diritti fondamentali delle comunità indigene.


Il secondo nel 2019 in cui la comunità indigena Waorani insieme al Difensore civico per i diritti umani dell’Ecuador ha vinto una storica causa contro tre enti governativi (il Ministero dell'Energia e delle Risorse Naturali Non Rinnovabili, il Segretario degli Idrocarburi e il Ministero dell’Ambiente). Il collegio giudicante ha stabilito che il procedimento di consultazione avviato nel 2012, che ha reso il territorio di tale comunità oggetto di un’asta internazionale di petrolio, era inadeguato e aveva perciò violato i diritti fondamentali della comunità. La sentenza non è solo una vittoria per il singolo popolo Waorani ma per tutte le comunità indigene dell’Amazzonia essendo utilizzabile come precedente giudiziario per la battaglia contro le attività d’estrazione petrolifera. Il giudizio si è pronunciato in favore del diritto al consenso libero, preventivo ed informato della comunità che è riconosciuto non solo dal diritto nazionale ma anche da quello internazionale. Predetta sentenza ha ripristinato il diritto all’autodeterminazione e all’autonomia territoriale delle comunità andando contro una legge locale secondo la quale invece i funzionari non erano vincolati dal raggiungimento dell’accordo con la popolazione risiedente durante la fase di consultazione per i progetti d’estrazione del petrolio.



Oltre alla violazione dei diritti umani connessi all’estrazione di petrolio, i leader delle comunità indigene hanno presentato al Procuratore Generale la richiesta d’indagine di quattro alti funzionari governativi per crimini contro l'umanità a causa del loro ruolo nelle violente proteste anti-austerità lunghe 11 giorni nell'ottobre 2019. Durante queste proteste contro le misure emanate dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e contro l’aumento dell’attività di estrazione mineraria e petrolifera sono state uccise 11 persone, 63 sono risultate gravemente ferite e 1300 dei manifestanti presenti sono stati arrestati. Per questo motivo il mese in cui si sono svolte le ribellioni ha preso l’appellativo di “ottobre ribelle”.


Una delle ultime pronunce in favore delle popolazioni indigene è stata emanata dalla Corte Costituzionale Ecuadoriana nel settembre 2020. La Corte si è infatti pronunciata in favore della petizione del governo di Cuenca, una città sugli altipiani del paese. Secondo tale decisione le comunità indigene possono proporre un referendum al fine di vietare tali attività in prossimità dei corsi d’acqua, a condizione che il governo non abbia già rilasciato la relativa autorizzazione e concessione formale.


Attraverso queste campagne di attivismo e battaglie legali i popoli indigeni stanno riuscendo nell’intento di responsabilizzare le industrie petrolifere, e di limitare il più possibile lo sfruttamento ambientale della foresta amazzonica ecuadoriana che minaccia le loro vite, le loro terre, il loro ed anche nostro clima per profitti economici a breve termine.


Francesca Noris per NINA





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