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#l'ingredientedelmese: il Sacha Inchi
Uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Nature afferma che la stragrande maggioranza della foresta amazzonica non sarebbe altro che un enorme bosco commestibile costruito nei millenni da parte delle popolazioni indigene che avrebbero sviluppato un complesso sistema agroforestale in grado di imitare la foresta ma includendo una grande varietà di piante utili.
Senza entrare troppo nel dettaglio, la tesi dello studio è supportata da vari elementi tra cui l’abbondante frequenza di piante utili che, come nel caso della chonta e della guayusa di cui abbiamo già parlato, si sono dimostrate specie addomesticate dall’uomo nel corso dei millenni.
Questi sistemi agroforestali hanno permesso alle popolazioni indigene di vivere per millenni senza distruggere la foresta, consentendo il sostentamento di una popolazione molto maggiore dell’attuale visto che si stima che le popolazioni indigene attuali siano solo il 10% di quelle che abitavano il bacino amazzonico prima dell’invasione dell’uomo bianco.
Questi sistemi agricoli, proprio perché imitavano il bosco naturale si sviluppavano su più strati e non includevano quindi solo alberi ma anche arbusti del sottobosco, erbe, tuberi e rampicanti.
Proprio una di queste piante rampicanti è la protagonista dell’articolo di questo mese.
Si tratta del Sacha inchi, spagnolizzazione di un nome in Quechua peruviano che significa “arachide della selva”, mentre nel Kichwa amazzonico si conosce come tikasu e nella nomenclatura scientifica come Plukenetia volubilis.
Il sacha inchi è una pianta semilegnosa, perenne, che allo stato spontaneo può crescere svariati metri arrampicandosi sugli alberi per raggiungere la luce del sole, mentre in coltivazione cresce su tutori non più alti di due metri per rendere più facile la raccolta.
La pianta è originaria dell'Amazzonia peruviana ed il suo uso era molto diffuso tra gli Inca, che la commerciavano con le popolazioni indigene amazzoniche, tanto che un altro dei suoi nomi è proprio "arachide degli Inca".
Il frutto del sacha inchi è una capsula, dalla caratteristica forma a stella, che contiene al suo interno da 4 a 7 semi di colore marrone scuro che sono la parte commestibile della pianta.
I semi del sacha inchi contengono infatti circa il 50% di olio, ricco in acidi grassi insaturi come Omega-3, Omega-6 e Omega-9. Questi acidi grassi sono conosciuti per le loro proprietà benefiche nella prevenzione di alterazioni cardiovascolari, artrite e coagulazione sanguigna. Ma non solo, i semi contengono anche il 33% di proteine con un importante contenuto di aminoacidi essenziali e sono ricchi di vitamina A ed E che sono ottimi antiossidanti.
Per poter essere consumati i semi devono essere tostati, dato che contengono anche grosse quantità di tannini che contribuiscono al sapore lievemente amarognolo e astringente che non a tutti risulta gradevole al primo assaggio.
Dai semi si può ottenere anche un olio che, se ricavato per spremitura a freddo mantiene intatte tutte le caratteristiche nutritive, rendendolo quindi molto prezioso.
Date le sue caratteristiche nutritive e benefiche si potrebbe pensare che il suo uso sia diffuso tra la popolazione… Beh, neanche per sogno: il suo uso alimentare in Ecuador è quasi sconosciuto.
Le ragioni? Prima di tutto perché arrivare al suo seme non è così facile: bisogna prima aprire la capsula a stella del frutto, che quando è secca diventa dura e legnosa e i semi a loro volta hanno una buccia come una nocciola che va rotta con una pietra o un martello e come se non bastasse poi vanno tostati in padella o al forno per 20-30 minuti. Il suo gusto particolare inoltre non rende la sua accettazione facile soprattutto tra la popolazione più giovane che così sta praticamente dimenticando il suo uso.
C'è da dire però che la sua coltivazione negli ultimi anni ha preso piede anche nella provincia del Napo. Peccato però che la stragrande maggioranza della produzione venga esportata per la produzione di olio che poi non viene neanche usato a fini alimentari bensì cosmetici, date le sue proprietà benefiche anche per la pelle e anti-invecchiamento.
Un destino analogo a quello dell'Argan marocchino, il cui olio viene usato da millenni dalle popolazioni berbere a scopo alimentare ma, data la popolarità dell'uso cosmetico rende molto più conveniente vendere la produzione relegando l'uso alimentare a una scala estremamente ridotta e ormai dimenticata.
Ça va sans dire che sui mercati occidentali l'olio di sacha inchi ha un valore commerciale che può sfiorare i 300 € al litro (!) e non è poi così difficile trovarlo magari in uno dei tanti siti di commercio online la cui popolarità è schizzata alle stelle in quest'ultimo anno.
Sicuramente è molto più facile trovarlo che in Amazzonia, a pochi chilometri da dove viene coltivato e usato da millenni e dove invece gli indigeni usano olio iper-raffinato ricavato da soia transgenica importata da migliaia di chilometri di distanza, venduto in buste di plastica a poco più di un dollaro al litro, con buona pace degli Inca...
Giacomo Rubini per NINA APS
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