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L’ 8 Marzo, non fatemi gli auguri

Aggiornamento: 4 mar 2021

L’8 Marzo non fatemi gli auguri, non regalatemi mimose, non ditemi che è la “festa” della donna.


Da quando vivo in Italia, ho la speranza che l’8 Marzo rappresenti una giornata coerente con il suo vero significato. Questo giorno è considerato una “festa” soltanto in Italia. Per il resto del mondo è la “Giornata Internazionale della donna”, una giornata in commemorazione alle lotte delle donne per l’ eguaglianza, per i diritti civili, politici e sindacali. Dovrebbe essere un giorno di riflessione sulle discriminazioni che le donne continuano a subire nel 2021, un giorno di consapevolezza e mobilitazione nelle case, a lavoro, e nella società.


E invece, si continuano a fare gli auguri come se l’ 8 Marzo fosse una variante della festa della mamma. Non lo è. Così come il termine “festa” non aiuta a chiarirlo.


Oggi vorrei cogliere questo esempio per parlare, appunto, dell’ importanza del linguaggio. Proprio in occasione dell’8 Marzo mi sembra doveroso farlo parlando, più precisamente, del sessismo linguistico. Utilizzando parole della sociolinguista Vero Gheno, questo termine fa referimento alla “manifestazione linguistica della mentalità, dei comportamenti sociali, dei giudizi e dei pregiudizi culturali venati di (o viziati da) sessismo”. La lingua di per se non è sessista ma l’ uso che ne facciamo può, invece, esserlo. Vi do qualche esempio.


Perché in italiano, a differenza di altre lingue europee come lo spagnolo, si usano ancora espressioni come “diritti dell’uomo” per parlare dei diritti umani? “Dottore” per una giovane donna che si sta laureando? “Avvocato” per un’ avvocata che ha chiesto espressamente di essere denominata al maschile perché sente che il termine giusto possa avere una connotazione di svilimento del suo ruolo professionale?


Soffermiamoci sul caso delle professioni: molto tempo fa non c’ era la necessità di declinare i nomi delle professioni in maniera corretta,questo perchè il lavoro delle donne era limitato a settori e mansioni molto precise. Oggi, invece, chiamare con il loro nome le avvocate, sindache, presidentesse, ministre, architette, etc. comporta un’ affermazione di esistenza. Dato che l’italiano è una lingua con soli due generi, non esiste il neutro. Infatti, l’ uso del maschile in maniera generalizzata non ha una motivazione grammaticale o morfologica alla sua base; è una questione di abitudine socio-culturale basata sulla discriminazione della donna in base al suo sesso. Da lì: sessismo linguistico.


Sembrerebbe chiaro, e invece ogni volta che ne parlo con amici o familiari, ci sono una serie di obiezioni ricorrenti che fanno subito diventare la conversazione una tematica “molto delicata”, anzi tabù. Andiamo per punti.


Se un termine serve, si usa indipendentemente del fatto che ci piaccia o meno. Quindi, la questione della “cacofonia”, per esempio, non ha alcuna rilevanza. Invece, per quanto riguarda le regole della lingua o la tipica frase del “si è sempre fatto così”, basta consultare i vocabolari delle lingue classiche o i dizionari storici dell’ italiano per capire che non è vero. Dobbiamo capire, come società, che le parole non sono mai “solo parole”. Le parole definiscono il mondo che ci circonda e ci aiutano a capire la realtà... non ditemi che “i problemi della causa femminile sono altri”. Certo, ce ne sono tanti ma esiste davvero un problema che sia più importante di tutti gli altri? C’è così tanto da fare che ognuna di noi, noi persone, potrebbe interessarsi a un problema di genere diverso e comunque poter convivere occupandosi parallelamente senza autoescluderci. Questa non è una battaglia, é una normale evoluzione linguistica dovuta ai cambiamenti nella nostra società.


Infine, una delle frasi che mi lascia più perplessa è quella di “già inizia la femminista”, come se femminista fosse un insulto o avesse un’accezione negativa. “Che vuol dire? Che tu non lo sei?” Perché in quel caso sarebbe preoccupante. Proprio questo mi porta a chiedere: il significato di femminismo è davvero compreso in Italia? Spesso mi ritrovo davanti a frasi del tipo: “Io non sono ne maschilista ne femminista”, compiendo l’ errore di utilizzare il femminismo come opposizione al maschilismo. È proprio questo uso sbagliato del linguaggio che non può far altro che portare a equivoci e conseguenze nefaste nella società.


In spagnolo, per esempio, esistono due termini diversi per denominare quello che in italiano viene denominato come femminismo. Da una parte, “hembrismo” fa riferimento alla superiorità delle donne sugli uomini. Al contrario, il femminismo fa riferimento ai pari diritti per le donne e per gli uomini. Ed è proprio quest’ultimo che sottolinea non solo l’accezione giusta di Femminismo, ma anche l’ideologia femminista globalmente condivisa. Quindi se anche tu credi nei pari diritti tra donne e uomini, sei femminista, I’m sorry to tell you.


Tornando quindi all’8 Marzo… Giornata della donna, pensate ancora che il linguaggio non abbia importanza?


Non si cambia la società con fiori e cioccolatini. Dovremmo sfruttare questo giorno per riflettere sul sessismo e le sue molteplici forme: disuguaglianze sociali, professionali e famigliari. Femminicidi. Prostituzione. E non dimentichiamoci di come la discussione sulla parità di genere debba riflettersi anche in azioni concrete nella quotidianità: gli assorbenti sono ancora tassati al 22% di IVA, considerati come beni di lusso quando in realtà rappresentano un bene essenziale. Noi donne affrontiamo anche il sessismo e le sue sfaccettature più sottili come il manspreading, il mansplaining, il gaslighting… e potremmo elencarne molteplici altre.


I diritti delle donne sono diritti umani, e il diritto non è un’ opinione.


Scritto da: Haizea Mariti

Ph. credits: Haizea Mariti (@romeclicks)

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