#ingredientedelmese: "shungu papa"
L’ingrediente di cui vi parlerò questo mese ha un nome che in italiano suona alquanto strano: patata aerea. Nessun doppio senso e nessun riferimento all’aeronautica, il nome deriva da una caratteristica molto particolare di questa pianta, che vedremo in seguito.
Innanzitutto bisogna specificare che la patata propriamente detta è una pianta che predilige i climi freschi e non eccessivamente umidi quindi, come è ovvio, nel clima della foresta pluviale amazzonica non cresce. In Ecuador la patata è una pianta prettamente andina e la sua coltivazione è diffusa principalmente sugli altipiani o comunque sopra i 1000 metri di altitudine.
Nonostante questo però i Kichwa del Napo utilizzano a scopo alimentare, oltre all’onnipresente yuca o manioca, diverse piante che vengono genericamente chiamate papa cioè patata. Abbiamo la papa china, la mandi papa, wagra chaki papa, sani papa e sicuramente altre che ora mi sfuggono e di cui magari parleremo in prossimi articoli. Tutte queste piante hanno però in comune il fatto che la parte usata a scopo alimentare è appunto il tubero, che cresce sottoterra.
L’eccezione che conferma la regola è invece proprio la pianta di cui parleremo in questo articolo. Si tratta della Dioscorea bulbifera, una pianta originaria dell’Asia o, secondo altre ipotesi, dell’Africa tropicale sul cui arrivo in Sud America non si sa molto, tanto che per alcuni studiosi sarebbe arrivata non con gli europei ma molto prima, secondo la teoria dei cosiddetti “navigatori polinesiani”. Questa teoria rappresenterebbe una spiegazione certamente più plausibile sulla presenza di determinate piante, tra cui anche la patata dolce, la canna da zucchero e le banane in tutte le loro versioni, che sono ben radicate nella cultura di svariate popolazioni indigene dell’Amazzonia da prima dell’arrivo dei coloni europei, ma non vorrei divagare troppo.
Indipendentemente dalle sue origini, la D. Bulbifera è una liana perenne con fusti vigorosi e rapidi nella crescita, con grandi foglie a forma di cuore, da cui il nome in lingua Kichwa di shungu papa, ovvero “patata cuore”. La caratteristica peculiare di questa pianta è però data dal fatto che all’ascella delle foglie si sviluppano dei bulbi, del tutto simili a patate ma di forma variabile, che rappresentano la parte commestibile della pianta e che possono arrivare a pesare fino a mezzo chilo. Ecco dunque spiegata l’origine del bizzarro nome di “patata aerea”.
Per mezzo di questi bulbi la pianta si riproduce perché, quando questi sono maturi, cadono a terra e da lì nascerà una nuova pianta. Questa forma di riproduzione asessuata, molto più rapida ed efficiente, con il tempo e l’evoluzione, ha rimpiazzato, per questa specie, la forma di riproduzione “tradizionale” cioè quella sessuata, tanto che la patata aerea molto raramente fiorisce e fruttifica, quasi mai dando semi fertili.
Grazie a questo vantaggio evolutivo la patata aerea può essere una pianta potenzialmente molto invasiva, tanto che è stata descritta come “una delle piante più aggressive mai introdotte negli Stati Uniti”. In Florida infatti rappresenta un serio problema perchè con i suoi fusti vigorosi e la sua crescita rapida può avvolgere rapidamente la vegetazione circostante soffocandola. Inoltre la facilità con cui i bulbi caduti generano nuove piante e la resistenza delle sue tenacissime radici in cui solo un frammento rimasto nel terreno può germogliare di nuovo fanno sì che risulti molto difficile tenerla sotto controllo e possa facilmente sfuggire da eventuali coltivazioni. Qui nell’Amazzonia ecuadoriana questo problema praticamente non si pone: l’ambiente naturale è già abbastanza competitivo di suo e la D. bulbifera è solo una specie in più nel già vasto panorama di liane colonizzatrici alla ricerca di luce solare.
Ma veniamo alla parte gastronomica: i bulbi di patata aerea si possono consumare grosso modo come le normali patate: bollite, arrosto, fritte, etc. Hanno un gusto leggermente più dolciastro e per questo possono entrare nell’impasto di torte e biscotti.
Come spesso accade al giorno d’oggi l’uso alimentare di questa pianta è sconosciuto ai più. Qualche pianta resiste ancora nella chakra (orto agroforestale) di anziane signore indigene o di appassionati di biodiversità ma alla stragrande maggioranza della gente quelle strane patate che sembrano essere state attaccate per scherzo al fusto di una liana rimangono tutt’al più come una curiosità da fotografare, una bizzarria della natura. Una tessera di quel meraviglioso mosaico di biodiversità di cui l’essere umano è parte.
Giacomo Rubini per NINA APS
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